UN ANNO SENZA
Sarà stato il 27 o il 28 gennaio. Da poco è trascorso un
anno e a me pare il tempo di un respiro.
Partita serale con gli amici Biold. Io gioco estremo e… mio
Dio, è meraviglioso fare l’estremo!
Ultima azione e abbiamo una mischia con introduzione a
favore. Fisio è all’apertura e chiama una “Mare”: giocherà largo sui trequarti.
Poi ci ripensa e voltandosi mi chiama una Europa: andrò in penetrazione stretta
tra apertura e primo centro avversari.
Prendo la palla tra le mani e mi sembra di prendere un buon
guadagno; mi fermano ma sento di poter insistere ancora un po’. Innesto la
ridotta, come direbbe il buon Mosè, e spingo sulle gambe; guadagno qualcosina ancora
e una volta finita la pacchia decido di andare a terra. E qui casca l’asino,
che sarei io.
Non riesco a girare su me stesso quindi cado a terra sulla
destra lasciando indifesa la gamba sinistra, quella con il legamento ballerino
nonché il menisco rotto anni fa e mai operata. Proprio su quella gamba cade il
peso di tutta la ruck che si sta formando. Sento il rumore come di grissini che
si spezzano: crack!
Non è per dire; cioè, non è che l’ho semplicemente
immaginato. Si sente proprio un bel “crack”, forte e chiaro. Anche Grill, che è
stato il primo a darmi sostegno e copertura, lo sente. Anche gli avversari.
Il gioco si ferma e la partita finisce lì. Su quel rumore di
qualcosa che si spacca.
Rassicuro tutti: “tranquilli è solo il ginocchio che si è
rotto, come l’altra volta”. Fa parecchio male ma in fondo poteva andare peggio.
Zoppicando riesco a raccogliere la borsa e a tornare a casa. Mi farò una bella
doccia calda e sia quel che sia.
Nessuno lo sa ma il giorno dopo, scrivo al Coach e il
messaggio suona grossomodo così: “credo proprio che con questo si possa
chiudere la mia folgorante carriera da rugbista”. Nessun rimpianto, nessuna
recriminazione, nessuna tristezza. E’ andata bene ed è stato bellissimo.
Adoro essere melodrammatico. E in questo ultimo atto da
giocatore ci sono tutti gli elementi del dramma epico: l’eroe che con un ultimo
sacrificio si immola per la maglia offrendo la propria gamba quale pegno
d’onore e reliquia a testimoniare il martirio.
Oh che esagerato! Direte voi. Ma chi ti credi di essere?!?
Ah si, la pensate così? Pensate che sia un megalomane,
egocentrico, presuntuoso?
Beh… sì è vero, lo sono. Però considerate quello che è
successo subito dopo.
Io scrivo al Coach che mi sento pronto ad abbandonare, che
posso stare senza giocare e lui, da buon papà, mi incoraggia e rassicura: “Ora
riposa per qualche tempo e poi vediamo cosa ti sei effettivamente fatto. Stai
tranquillo e vedrai che potrai tornare a giocare”.
Quello che né io né il Coach consideriamo in quel momento è
il fatto che, se SuperPigia può vivere senza rugby… il rugby non può esistere
senza Pigiamino!!
Detto, fatto! Pandemia mondiale e tutti fermi. Tutti quanti
rinchiusi nella propria casa a cercare di inventarsi una nuova esistenza:
abitudini diverse, relazioni che cambiano, contatti che si trasformano. E
soprattutto, niente rugby e così sia.
Insomma: nessuno gioca più finché il ginocchietto bello del
nostro bellissimo eroe non si sarà ristabilito del tutto. Servono un paio di
mesi? Nessun problema: lockdown fino ad aprile, facciamo maggio dai, anzi fine
maggio così non rischiamo! Serve più tempo? Andiamo di zone rosse, gialle, blu,
violette, arancioni… insomma si inventano di tutto per tirare in là. Servono
due anni? Evvai di seconda ondata e poi la terza e poi i vaccini non si sa se
arrivano e più ne ha più ne metta.
Lo Spirito del rugby sa portare evidentemente pazienza. E mi
aspetta.
Perché Pigiamino è come la Nutella… che mondo sarebbe senza?
E adesso ditemi, in coscienza: sarò anche megalomane,
egocentrico, presuntuoso ma ammettelo… che bello è giocare a rugby con il
vostro Pigia?!?
P.S. prima o poi torno ragazzi. Voi cominciate ad andare avanti
che tanto… vi riprendo!